La conferma arriva dal Tribunale di Ravenna, con una sentenza che però non scioglie
tutti i nodi interpretativi che la normativa pone
Il Tribunale di Ravenna, con la decisione n. 1/2021, utilizzando argomenti più efficaci di
quelli letti nella nota dell’Ispettorato nazionale del Lavoro (INL) n. 298/2020, ma ancora
non del tutto convincenti, ha incluso il licenziamento per inidoneità alle mansioni tra
quelli oggetto del divieto introdotto dal DL 18/2020, oggi presente nella
L. 178/2020 (legge di bilancio 2021) nei commi da 309 a 311, che ne ha prorogato la
scadenza al prossimo 31 marzo.
Il giudice del lavoro, in questo caso, non cita il sillogismo fatto proprio dall’Ispettorato
nella nota richiamata, secondo il quale l’inclusione di questa tipologia di licenziamento
tra i recessi vietati sarebbe da ricondurre al fatto di avere in comune con i licenziamenti
per giustificato motivo oggettivo l’obbligo della preventiva verifica del repêchage. Tra
l’altro, nella disciplina del licenziamento per inidoneità alle mansioni, il repêchage non
proviene da una elaborazione giurisprudenziale, ma direttamente dalla legge, vale a dire
dall’art. 4 comma 4 della L. 68/99 prima e dall’art. 41 del DLgs. 81/2008 oggi.
Il Tribunale ravennate, piuttosto, pone lo spartiacque tra recessi consentiti e vietati nella
distinzione tra licenziamenti disciplinari e licenziamenti per motivi oggettivi. Definisce
quest’ultima categoria “frammentaria” e comprendente “tutto ciò che non è disciplinare”.
Da ciò fa discendere la conseguenza che tutti i licenziamenti non dettati da motivi
disciplinari sarebbero attualmente vietati, perché caratterizzati da “motivo oggettivo”.
A tali argomenti il Tribunale aggiunge un’ulteriore considerazione che appare interessante
a chi scrive, riguardante una sorta di impossibilità di verifica della praticabilità
del repêchage. Secondo il giudice, infatti, la situazione di pandemia ha ridotto
notevolmente l’operatività delle imprese, di modo che, fino al superamento di questo
periodo emergenziale, non sarà possibile verificare adeguatamente la possibilità o meno
di mantenere il lavoratore inidoneo in altro ruolo dell’organizzazione aziendale.
Nella sua pur complessa motivazione, tuttavia, il Tribunale di Ravenna ha omesso di
considerare l’art. 83 comma 3 del DL 34/2020, che pone una obiezione, certo non
insormontabile ma comunque seria, alle argomentazioni della sentenza. Il detto art. 83 si
occupa infatti della sorveglianza sanitaria eccezionale da attuare in azienda nei confronti
dei c.d. lavoratori fragili, i quali – per età, per lo stato di salute, etc. – sono maggiormente
esposti alle conseguenze del COVID-19. Ebbene, riguardo a tali lavoratori, il terzo
comma dell’art. 83 afferma che “l’inidoneità alla mansione accertata ai sensi del presente
articolo non può in ogni caso giustificare il recesso del datore di lavoro dal contratto di
lavoro”. La norma, quindi, sembra stabilire che il divieto di licenziamento per inidoneità
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alle mansioni si applichi solamente ai lavoratori c.d. fragili, mentre i lavoratori inidonei
ma non “fragili” (categoria di difficile individuazione) non possano usufruire di tale
franchigia.
Inoltre non convince l’argomento secondo cui il licenziamento per motivo oggettivo
comprenderebbe tutto ciò che non è disciplinare. Il potere di recesso “non disciplinare”
del datore di lavoro proviene anche da svariate ipotesi legali non riconducili al
“giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’art. 3, l. 604/1966”, cui si riferisce il divieto di
licenziamento. Si pensi al recesso per mancato superamento della prova o per
raggiungimento dell’età pensionabile, ovvero ancora al recesso operato alla fine del
periodo di apprendistato. Nel caso della disciplina del comporto, per esempio, la stessa
giurisprudenza ha ritenuto “speciale” e “prevalente” la normativa di tutela di cui all’art.
2110 c.c., integrata dalla contrattazione collettiva, contrapposta a quella “generale” del
citato art. 3 della L. 604/66 (Cass. n. 31763/2018).
Non esiste pertanto una “dicotomia” netta tra ipotesi di recesso legittimo oggettivo e
soggettivo, sotto il profilo della omogeneità normativa, sussistendo un’area di ipotesi
legali che, pur condividendo la natura oggettiva dei motivi del recesso, soggiace a regole
differenti da quella generale di cui alla legge 604/66.
Pertanto, se il legislatore avesse voluto veramente ricomprendere nel divieto tutte le
ipotesi di licenziamento per motivi oggettivi, avrebbe forse utilizzato una formulazione
differente e meno ambigua (per es. “sono consentiti solamente i licenziamenti
disciplinari”). Il richiamo all’art. 3 della L. 604/66, invece, esige che si tenga conto
dell’area di applicazione effettiva di tale norma nel tempo. Tanto più per il fatto che il
divieto di licenziamento è una misura estrema e la necessità che venga ristretta entro
limiti ragionevolmente connessi agli effetti della pandemia e agli aiuti dello Stato alle
imprese, costituisce un requisito di conforto rispetto alla sua compatibilità con la
Costituzione.
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